L’effetto induttivo

12 Dicembre 2008 commenta!

L’effetto induttivo indica la polarizzazione di un legame σ e di quelli vicini, da parte di atomi o gruppi che presentano elettronegatività diversa da quella dell’atomo di carbonio.
Una coppia di elettroni implicata in un legame covalente è più spostata verso l’atomo più elettronegativo, con conseguente polarizzazione  del legame.
I sostituenti del carbonio poco elettronegativi tendono ad allontanare gli elettroni , perciò l’atomo di carbonio diventa il protagonista della densità elettronica del legame. Ciò che i sostituenti del carbonio esercitano è detto effetto induttivo + I e viene indicato con con una freccia che indica lo spostamento degli elettroni verso l’atomo più elettronegativo.
I sostituenti con effetto induttivo + I possono essere di tre tipi:

1) gruppi alchilici, indicati genericamente con —R; la loro capacità di cedere elettroni varia nell’ordine seguente:

(CH3)3C—   >   (CH3)2CH—   >   CH3CH2—   >   CH3

2) i sostituenti con carica negativa:

—O¯, —S¯

3) metalli che formano un legame covalente con il carbonio:

—Li, —Mg

I sostituenti più elettronegativi, al contrario, tendono ad attrarre verso di sé gli elettroni di legame. In questo caso, si rileva una diminuzione di elettroni sull’atomo di  carbonio. Ciò che questi sostituenti esercitano è detto effetto induttivo -I.
I sostituenti con effetto induttivo -I possono essere di di verso tipo:

1) sostituenti neutri con atomi più elettronegativi dell’idrogeno

—F, —OR, —Cl, —Br, —I, —SR, —NR2

2) sostituenti con carica positiva integrale o parziale:

—NO2, —NR3+, —OH2+

3) atomi di carbonio con legami multipli.

L’effetto induttivo -I esercitato da atomi di carbonio che formano legami multipli dipende dalla maggiore elettronegatività che questi presentano verso gli atomi di carbonio uniti con legame semplice.
In una catena di atomi di carbonio la polarizzazione viene comunicata anche agli altri atomi post nelle vicinanze, diminuendo a mano a mano che ci si allontana dal legame e si fa sentire al massimo per tre legami.

Le reazioni organiche e i fattori determinanti

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I legami presenti nei composti organici sono molteplici: possono essere covalenti puri, come quelli tra C—C, lievemente polari, come quelli tra C—H, completamente polari, come quelli tra C—O, carbonio e alogeni o C—N.
E’ di grande importanza la polarizzazione degli elettroni, in quanto influenza la rottura dei legami che si verifica in qualsiasi rotazione chimica. Anche la parte della molecola vicina la legame che interessa la reazione ha spesso influenza decisiva sulla reattività della molecola stessa, poiché può condizionare il comportamento del legame.
Pertanto, è importante definire gli effetti elettronici dei vari gruppi, sia quelli dovuti all’elettronegatività, come l’effetto induttivo, sia quelli dovuti alla delocalizzazione elettronica, come l’effetto mesomerico.
Altri fattori influenti sullo svolgimento di una reazione sono la presenza di sostanze acide o basiche, la stabilità degli intermedi che si formano e il tipo di prodotti.

Molteplici centri di asimmetria: oltre gli antipodi ottici

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In un composto in cui sono presenti più atomi di carbonio asimmetrici si possono avere più coppie di enantiomeri. Dalla formula di Van’t Hoff si ricava che il numero complessivo di stereoisomeri dipende dal numero degli atomi di carbonio asimmetrici presenti nella molecola. La formula di Van’t Hoff è la seguente:

n° di stereoisomeri = 2n

dove n è il numero di C*.
Le coppie di enantiomeri possibili sono pari alla metà del numero di stereoisomeri.
Il composto 2-bromo-3clorobutano, ad esempio, avendo due stereocentri può esistere in 4 stereoisomeri.
Se si costruiscono i modelli molecolari dei quattro stereoisomeri sarà facile capire che le configurazioni a e a’ sono l’una l’immagine speculare dell’altra e non sono sovrapponibili, perciò dette enantiomere, come pure le configurazioni b e b’.
Le due configurazioni, però non sono enantiomere tra loro ma solo stereoisomeri, in quanto la configurazioni a e a’ non sono immagini speculari di b e b’, e viceversa.
Esse vengono dette diastereoisomeri o diasteromeri, perché non tutti gli stereoisomeri sono antipodi ottici.
Essi hanno una differente attività ottica perché hanno un diverso potere rotatorio; hanno diverse proprietà fisiche, quali il punto di fusione, il punto di ebollizione e la solubilità; mentre hanno simili, ma non identiche, proprietà chimiche. Queste differenze facilitano la separazione da una loro eventuale miscela.
Quando in una molecola sono presenti due atomi di carbonio asimmetrici ai quali sono legati gli stessi sostituenti, la situazione si presenta diversamente.
Qualsiasi molecola che possiede un piano di simmetria è detta forma meso.
E’ questo il caso particolare del composto 2,3-diclorobutano.
La molecola del 2,3-diclorobutano, avendo 2C* equivalenti, presenta soltanto tre stereoisomeri: due enantiomeri (a e a’ ) otticamente attivi e una meso (b) otticamente inattiva. La configurazione (b) in quanto capovolgendola sul piano del foglio risulta a essa sovrapponibile.
Ancora una volta con l’ausilio di modelli molecolari è possibile osservare che tale composto, pur presentando due stereocentri, risulta interamente un composto achirale in quanto, avendo nella sua molecola un piano di simmetria, risulta sovrapponibile alla sua immagine speculare.
In questo caso si dice che i due stereocentri annullano reciprocamente i loro contributi all’attività ottica rendendo il composto inattivo per una sorta di compensazione interna.

Il carbonio asimmetrico: la configurazione assoluta e le proiezioni di Fischer

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Per identificare due enantiomeri bisogna definire la loro configurazione assoluta, cioè stabilire la posizione spaziale dei gruppi legati al carbonio asimmetrico.
Convenzionalmente, le configurazioni rispettive vengono indicate con le lettere R (rectus) e S (sinister).
Per identificare la configurazione assoluta di un isomero bisogna:

– determinare, secondo le regole già note, le priorità dei quattro gruppi legati al carbonio asimmetrico che vengono numerati secondo l’ordine;
– osservare il centro asimmetrico della parte opposta del gruppo a priorità più bassa (4°), si verifica se, per passare dal 1° al 3° attraverso il 2°, bisogna procedere in senso orario o antiorario. Se bisogna procedere in senso orario vuol dire che ci si trova davanti a un isomero R, se, al contrario, bisogna procedere in senso antiorario vuol dire che ci si trova davanti a un isomero S.
Per evitare di rappresentare le formule con la struttura tridimensionale, si può fare uso della rappresentazione bidimensionale, la quale risulta essere più semplice e schematica, messa a punto da E. Fischer.
Per scrivere la formula si traccia una croce il cui centro rappresenta l’atomo di C*, e si dispongono all’estremità delle braccia i quattro gruppi. In questo modo si ottiene la proiezione sul piano della carta di una struttura tridimensionale.
Convenzionalmente, le linee orizzontali rappresentano i legami che escono dal piano del foglio verso chi li guarda, mentre le linee verticali rappresentano i legami che si allontanano dall’osservatore, cioè i legami sono il piano del foglio.
Una qualsiasi proiezione di Fischer può essere ruotata se vengono rispettate determinate regole. Ad esempio, la proiezione dell’acido R-lattico può essere ruotata di 180° e rappresenta ancora la molecola iniziale; se invece è ruotata di 90° non rappresenta più la molecola iniziale ma il suo enantiomero.
Se un gruppo viene mantenuto in posizione immobile e vengono invece ruotati gli altri tre, la proiezione che si ottiene rappresenta ancora la molecola iniziale.
Per stabilire le configurazioni R ed S con le formule di Fischer è necessario porre il gruppo  a minore priorità in basso o in alto, e poi determinare il senso orario o antiorario secondo cui si succedono i tre gruppi restanti in base alle regole di priorità.

L’isomeria ottica

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Gli isomeri cis e trans non sono l’unico tipo di stereoisomeri conosciuti.
Esistono altri tipi di stereoisomeri che differiscono tra loro per il fatto che uno è l’immagine speculare dell’altro, ma non sono sovrapponibili in quanto risultano essere diversi.
L’isomeria ottica si verifica solo quando nella molecola è presente un atomo di carbonio detto asimmetrico o chirale. Un atomo è così denominato quando è legato a quattro atomi o gruppi di atomi diversi e viene indicato con C*.
Nella molecola dell’acido lattico, i quattro diversi gruppi legati al carbonio asimmetrico si possono disporre in due differenti modi, dando origine a due isomeri che sono l’uno l’immagine speculare dell’altro, cioè chirali (dal greco cheiròs =mano, poiché le mani sono l’una l’immagine speculare dell’altra). La chiralità è una proprietà che si può riscontrare anche nelle molecole organiche e è legata alla tetraedricità dell’atomo di carbonio il quale diventa chirale quando è legato a quattro atomi o gruppi di atomi diversi. Un carbonio così fatto viene anche denominato stereocentro. Per scoprire la chiralità delle molecole è opportuno ricorrere all’uso di modelli molecolari usando palline di diverso colore per rappresentare atomi o gruppi atomici differenti.
E’ proprio la loro particolare proprietà che le fa esistere in forme speculari che le rende in grado di avere attività ottica.
Sono detti enantiomeri o antipodi ottici gli stereoisomeri che presentano la capacità di ruotare il piano della luce polarizzata. Questa proprietà, detta potere rotatorio o attività ottica, è collegata all’esistenza di atomi di carbonio asimmetrici.
Gli enantiomeri presentano le stesse proprietà fisiche e potere rotatorio dello stesso valore, ma di segno opposto. Essi inoltre manifestano lo stesso comportamento chimico, tranne nei riguardi di altre sostanze otticamente attive. Questo si verifica soprattutto nel caso di molecole biologiche, in particolare quando enzimi otticamente attivi devono agire sui substrati, anch’essi otticamente attivi. Gli amminoacidi e gli zuccheri sono esempi di sostanze otticamente attive.
In base al senso in cui viene ruotato dagli enantiomeri il piano della luce polarizzata, essi vengono indicati con il segno (+), se questo viene ruotato verso destra (destro-giro), e con il segno (-), se viene ruotato verso sinistra (levogiro).
La miscela costituita dal 50% di ciascuno dei due enantiomeri non presenta attività ottica e viene detta racemo. Tale miscela non presenta più il fenomeno dell’attività ottica in quanto al suo interno si ha una compensazione dei due poteri rotatori opposti dovuti ai due enantiomeri.
Ai nomi dei composti organici dotati di attività ottica spesso vengono premessi sia i simboli + e – che le lettere D e L. Queste lettere non indicano se i composti sono destrogiri o levogiri ma segnalano che la loro struttura è analoga a quella di uno degli enantiomeri della gliceraldeide.
Per descrivere questo tipo di isomeria è necessario definire una proprietà di alcuni composti, detta attività ottica. Per comprendere l’attività ottica, il concetto di luce polarizzata e della misura del potere rotatorio bisogna addentrarsi un po’ nel mondo della fisica.
L’attività ottica di una sostanza consiste nella sua capacità di ruotare il piano della luce polarizzata.
La luce è un’onda o radiazione elettromagnetica costituita da un’insieme di onde elettromagnetiche che vibrano in tutti i possibili piani perpendicolari alla direzione di propagazione. Ponendo lungo il percorso della luce una lente particolare, detta polarizzatore (un filtro Polaroid oppure un prisma di Nicol che funziona come una griglia), la luce che esce dal filtro risulta polarizzata, cioè vibra in un unico piano, detto piano di polarizzazione. Questo significa che passa attraverso il filtro solo la luce che vibra nell’unico piano che la griglia del filtro permette. Pertanto, la luce polarizzata è definibile luce monocromatica, di una ben determinata lunghezza d’onda.
Se sul cammino della luce polarizzata si pone un secondo filtro polarizzatore, la luce passa soltanto se i due filtri sono orientati nella stessa direzione; non passa affatto se le griglie dei filtri sono perpendicolari tra loro.
Lo strumento comunemente utilizzato per misurare il potere rotatorio di una sostanza otticamente attiva è detto polarimetro.
Il polarimetro è costituito da un’opportuna sorgente luminosa, un prisma polarizzatore, un tubo portacampioni, un prisma analizzatore e un oculare. In una prima fase, quando il tubo portacampioni è vuoto, il prisma polarizzatore e l’analizzatore sono allineati, in modo tale che all’oculare si osserva una luminosità uniforme dovuta all’arrivo della luce polarizzata.
Quando viene introdotto il campione, esso ruota il piano della luce polarizzata di un certo angolo, per cui all’oculare si nota una diminuzione dell’intensità luminosa. Ruotando dello stesso angolo il prisma analizzatore, si ripristina la luminosità iniziale. Il valore di questo grado viene letto su una scala graduata collegata all’analizzatore.
L’angolo di rotazione dipende dalla natura della sostanza e, nel caso di una soluzione, dalla sua concentrazione, dalla natura del solvente, dalla lunghezza d’onda della luce polarizzata e dalla temperatura.
Se il tubo del polarimetro è vuoto, o se contiene una sostanza otticamente inattiva, dopo averlo attraversato, la luce polarizzata esce, vibrando nello stesso piano che non ha subìto rotazione alcuna.
Se, al contrario, il tubo contiene una sostanza chirale la luce polarizzata, dopo averlo attraversato, subisce una rotazione di un certo angolo α la cui entità è funzione del numero di molecole chirali che la radiazione attraversa.
L’angolo α di cui ruota il piano di vibrazione della luce polarizzata dopo aver attraversato una soluzione di quella sostanza con la concentrazione di 1g/cm3, per lo spessore di 10 cm è detto potere rotatorio specifico di una sostanza.
Il potere rotatorio di una soluzione dipende sia dalla concentrazione sia dalla lunghezza del tubo polarimetrico.
per rendere indipendente dai parametri sperimentali il potere rotatorio di una sostanza , si usa il potere rotatorio specifico [α]:
[α] = α/c∙l

dove:     α = angolo di rotazione misurato
c = concentrazione in g/ml
l = lunghezza del tubo

La misura va effettuata a 20°C usando una lampada al sodio.

Dalla relazione α/c∙l si può facilmente ricavare la concentrazione c di una soluzione di una sostanza chirale, in funzione dell’angolo di rotazione o misurato col polarimetro e del potere rotatorio specifico [α] ricavabile:

c = α/[α]∙l

per cui una misura polarimetrica, per una sostanza otticamente attiva, è una misura di concentrazione.

Un’applicazione frequente della polarimetria riguarda la determinazione del grado saccarometrico, che indica i grammi di saccarosio contenuti in 100 ml di soluzione.
A tal fine il polarimetro viene adattato alla misura da effettuare e la sua scala (solitamente sessagesimale) viene direttamente graduata in gradi saccarometrici e divisa in 100 parti.
Ritornando propriamente al fenomeno dell’attività ottica di alcune sostanze, esso fu scoperto nel 1815 dal fisico francese Baptiste Biot ma spiegato e chiarito solo nel 1848 dal  noto chimico francese Louis Pasteur.
Pascal si accorse che un sale dell’acido tartarico (il tartrato di sodio e di ammonio), otticamente inattivo, cristallizzava in due tipi di cristalli diversi, la cui forma era l’una l’immagine speculare dell’altra e le cui soluzioni risultavano otticamente attive. Pascal riuscì a separare le due specie di cristalli e chiamò levogira quella che faceva ruotare a sinistra il piano di vibrazione della luce polarizzata e destrogira quella che lo faceva ruotare verso destra. Inoltre, notò anche che i poteri rotatori delle due specie erano uguali in valore assoluto ma si compensavano internamente, perché ogni specie era sempre presente in quantità pari al 50% del sale; che in tal modo risultava inattivo e venne detto racemo.
In seguito agli studi di Pascal, si scoprì che i composti che hanno attività ottica sono quelli che possono esistere in due forme isomere che sono l’una l’immagine speculare dell’altra e che non sono sovrapponibili in quanto nessuna rotazione potrà mai trasformare una forma isomera nell’altra.

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